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ARTE & COMPUTER FRA GIOCO E SIMULAZIONE

  di Luciano Romoli

 

 

La Biblioteca Nazionale di Firenze ha sempre costituito, per me, un punto di riferimento di grande importanza; magazzino della cultura di ogni tipo e di ogni tempo e rifugio dove spesso ho contrabbandato i miei studi, durante i giorni in cui restavo lontano e assente dai troppo angusti banchi di scuola.

Ho ancora impresso nella memoria il grande respiro degli spazi insieme al mistico silenzio nel quale era immersa la solenne architettura di Cesare Bazzani e che di tanto in tanto veniva rotto da un ovattato bisbiglio o dal caratteristico suono della carta, di qualche pagina sfogliata troppo in fretta.

Da quel periodo sono passati molti anni e soltanto la pietra bruna dell'edificio sembra oggi trattenere un tempo cristallizzato, dentro al quale nulla si è più mosso; ma se mi affaccio con lo sguardo alla finestra del cronoscopio, mi accorgo di come ogni particolare si stagli nitido sotto la nuova luce, nello stesso punto dove si sfoca e si annulla tutto ciò a cui il ricordo aveva dato corpo.

Nel 1994, ricevuto l'invito da parte della Biblioteca fiorentina a partecipare alla mostra su "Marinetti e il Futurismo a Firenze", entrai di nuovo in quel luogo della memoria, dove ancora vidi gli antichi tavoli di lettura e i classificatori metallici delle schede di carta, che questa volta sfiorai appena con lo sguardo perché ora desideroso soltanto di portare il mio contributo di novità, laddove per qualche tempo avevo trascorso i giorni della mia primavera a leggere e studiare con grande accanimento, mosso dalla passione e dall'urgente desiderio di accumulare conoscenza.

E' da poco iniziato il 2000 e questa volta sono ritornato in questo mitico edificio della cultura per esporre alcuni risultati del lavoro artistico da me sviluppato negli ultimi trent'anni e che è stato caratterizzato dall'idea di far incontrare la cultura umanistica con quella scientifica.

E fra le strade che potevo percorrere per avvicinarmi a questo obiettivo ho scelto, fin dall'inizio degli anni '80, quella che mi ha portato a impiegare il computer, interlocutore ideale con cui ho potuto dialogare e del quale ho potuto scegliere, di volta in volta, le risposte più adatte al conseguimento del risultato più vicino a realizzare l'idea.

 

 

 

La creazione dell'opera d'arte è creazione del mondo (Kandinsky  1913), e per costruire un'ipotesi d'interpretazione del mondo e realizzare un progetto di azione sulla realtà, occorre fare appello a quel tipo di immaginazione che si pone al confine tra il mondo interno e la realtà esterna e considerare che ciò che non esiste è ciò che non può essere immaginato e che l'unico contrassegno dell'impossibilità è il non riuscire a concepire.

D'altra parte le cose definite immaginarie a priori sono spesso cose reali che devono adattarsi a particolari contesti per potersi affermare; la geometria di Lobacevskij e di Riemann, ad esempio, non è altro che la geometria molto reale di una particolare superficie.

Se ora partiamo dal presupposto che ogni téchne, cioè ogni arte, ha la caratteristica di creare forme e di stabilire relazioni tra più elementi, che è poi anche la caratteristica peculiare dell'intuizione e della produzione matematica, si potrà affermare che, nel caso di rappresentazione artistica o di costruzione matematica, le relazioni che intercorrono tra questi elementi sono degli eide , sono produzioni intellettuali.

Proprio oggi, per la prima volta nella storia dell'uomo, l'intellettuale che voglia avviarsi verso il nuovo mondo, può disporre di uno strumento virtuale di grande potenzialità, all'interno del quale si possono generare fenomeni , eventi, immagini, universi non reali, appunto virtuali, che non sono ciò che sembrano, così come l'immagine di un corpo davanti allo specchio.

Questo strumento è il computer: strumento che consente di costruire mondi e di far apparire, sopra la superficie del suo schermo-nuova dimora delle nostre fantasie-l'ombra delle nostre idee espresse attraverso la simulazione.

La natura, ad esempio, potrà essere simulata in un programma o potrà essere immaginata sotto forme completamente nuove, e sullo schermo si vedranno oggetti privi di qualunque referente fisico, dei simulacri, paragonabili a copie di cui si sono perduti gli originali.

Simulazione come luogo dove sperimentare le alternative che ci passano per la testa e dove sfuggire alla logica della pianificazione, per lasciare alla mente di ognuno una completa autonomia, secondo il proprio stile e la propria cultura, secondo la soggettiva interpretazione del significato di ciò che di volta in volta viene costruito.

Computer, strumento virtuale in grado di rimpiazzare le cose con le regole-delle-cose, così come una teoria scientifica riproduce virtualmente fenomeni naturali contenendo al suo interno le loro leggi scritte in un codice matematico; strumento che può trasformarsi in una macchina da scrivere, in un generatore di suoni, di segni, di animazioni, in una telecamera, in una tavolozza, in un tecnigrafo, in un microscopio, in un universo virtuale costellato di computers virtuali, nel quale è possibile giocare con idee, forme, suoni, colori e immagini.

Metamedium paradossale, quindi, che può inglobare tutti i media e prenderne il posto.

Macchina universale, residenza ideale degli algoritmi matematici animati dalla presenza e dalla frenetica vita dei bit, le semplici unità binarie che attraverso la distribuzione spazio-temporale degli zero e degli uno di cui sono fatte, realizzano complesse strutture in codice digitale.

Negli algoritmi confluiscono tutti gli strumenti di simulazione, grazie ai quali è possibile affrancarsi dal reale e dai suoi condizionamenti mimetici e liberare ogni capacità di immaginare il mondo, mettendo cioè in immagini l'ordine, il chaos, il phaos.

Computer, machina virtuale di potenzialità illimitata e potenziale punto d'incontro delle due contrapposte culture: della cultura umanistica e della cultura scientifica, che in questa sorta di crogiuolo potrebbero realizzare una sola forma di conoscenza; una nuova cultura all'interno della quale far prendere vita a una forma di collaborazione fra ingegneri, matematici, fisici, informatici, architetti, musicisti, artisti, psicologi, per consentire lo scambio di modelli e obiettivi, in certi casi anche di ruoli.

Realizzare cioè una maglia composta da tanti rami lungo i quali far scorrere l'energia delle varie componenti creative, delle componenti sinergiche, in modo da consentire loro di convergere  nel punto di sintesi dove riposerebbe, di volta in volta, la risultante dinamica di questa sorta di poligonale delle forze.

Si eviterebbe in questo modo che l'energia monotonica tendesse all'entropia, come nel caso degli acuminati specialismi dove si frastaglia e si sminuzza la conoscenza dei nostri giorni e che spesso finiscono con lo spegnersi in se stessi; nel contempo potrebbe rendersi sempre meno complesso, sempre meno improbabile ogni tipo di cambiamento, di trasformazione, cioè di apertura verso nuovi tipi di conoscenza e di cultura.

Benoit Mandelbrot ha affermato, a questo proposito, che la geometria dei frattali combina matematica tradizionale, scienze applicate e una nuova forma d'arte e che questa commistione non minaccia affatto la matematica; la modifica certo, ma la arricchisce.

Il computer, quindi, questo virtuoso e virtuale utensile tuttofare dal suggestivo potere di simulazione, chiama in causa una nuova filosofia: la filosofia di ciò che non c'è, la filosofia dei simulacri, dei mondi senza origini né fondamenta.

Perché è proprio attraverso la simulazione che forse è possibile comprendere il nostro mondo, quando il mondo diventa troppo complesso per poter essere compreso in termini di principi originari.

Così, quella che Charles Babbage definì, intorno alla metà dell'Ottocento, macchina analitica , l'analytical engine in grado di calcolare e stampare tavole matematiche, si è trasformata, oggi, in una macchina dotata di vita propria e di propria identità, in grado di interagire con l'uomo e di offrire all'uomo nuovi modelli mentali, ovvero la possibilità di compiere quelle esperienze capaci di modificarlo profondamente e di avviarlo verso una nuova sensibilità culturale e sociale.

Questa megamacchina svolge un ruolo centrale nella modifica dello spazio fisico all'interno del quale virtualmente si inserisce, perché capace di creare una enorme ragnatela di punti (World Wide Web), potenzialmente collegati fra loro: la grande rete informatica, Internet, all'interno del cyberspazio, di quella sorta di laboratorio di metafisica platonica, come lo ha definito il teorico M.Heim, dove vive e si muove l'eroe-hacker futurista del Neuromante di William Gibson e dove si realizza il villaggio globale, il villaggio planetario che Marshall Mc Luhan aveva teorizzato nel 1964:

Oggi, dopo oltre un secolo d'impiego tecnologico dell'elettricità, abbiamo esteso il nostro stesso sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo spazio. Ci stiamo rapidamente avvicinando alla fase finale dell'estensione dell'uomo: quella cioè in cui, attraverso la simulazione tecnologica, il processo creativo di conoscenza verrà collettivamente esteso all'intera società umana, proprio come, tramite i vari media, abbiamo esteso i nostri sensi e i nostri nervi.

L'evoluzione della tecnologia, in particolar modo l'affermazione definitiva del computer quale punto si sintesi di elementi metafisici, ha quindi modificato il concetto di spazio e di tempo, ha trasformato profondamente il significato di luogo fisico, verso il quale l'attaccamento si è andato attenuando, perché molti luoghi dove un tempo la gente si ritrovava, come la strada principale, le piazze, il bar, i circoli, hanno perduto progressivamente la loro capacità di aggregazione.

Questa è, nolenti o volenti, la realtà che ci troviamo a vivere alla fine di un secolo, il nostro, durante il quale si è verificata la più grande rivoluzione tecnologica di tutti i tempi e che ha influenzato ogni tipo di attività umana.

A questa rivoluzione non ha potuto rimanere indifferente l'arte del '900, anche se, prevedibilmente, sarà l'arte futura a porsi ancor più in stretta relazione con gli sviluppi della tecnologia, della scienza, quindi del progresso.

La tecnologia e le sue ricadute non verranno comunque assunte, guardando all'arte, come un canone di riferimento esterno, bensì come un medium , attraverso il quale passare per aumentare la capacità espressiva, la capacità di immaginare, di sperimentare, di creare.

Durante l'Esposizione Universale del 1855, Charles Baudelaire lanciò un'invettiva contro l'idea di progresso (…une absurdité gigantesque, une grotesquerie qui monte jusq'à l'epouvantable) e alla sua estensione al dominio artistico: L'idée du progrès, ce fanal obscur, invention du philosophisme actuel, breveté sans garantie de la Nature ou de la Divinité, cette lanterne moderne jette des ténèbres sur tous les objets de la connaissance.

Un giudizio netto, categorico, che non lasciava spazio per il più piccolo dubbio; un giudizio, oggi diremmo di tipo deterministico, che non lasciava spazio per prospettive future.

Una posizione più realistica e consapevole assumeva Paul Valéry quando, nel 1929, scriveva: A l'idole du Progrès répondit l'idole de la malédiction du Progrès; ce qui fit deux lieux communs.

Ma al di là delle visioni legate a esperienze e culture personali, il progresso continuava la sua corsa attraverso ripetute impennate, camminando per mano con soluzioni e contraddizioni e creando, al contempo, i presupposti per grandi cambiamenti e rivoluzioni sociali.

All'inizio degli anni '80, uno dei maggiori esperti in comunicazione digitale, Nicholas Negroponte, fonda il Media Lab; una struttura il cui obiettivo iniziale era quello di rinnovare le ricerche sull'interfaccia uomo-macchina e sull'intelligenza artificiale e il cui gruppo di lavoro era costituito, oltreché da Jerome Wiesner, uno dei passati presidenti del Massachusetts Institute of Technolgy, da un regista cinematografico, un designer grafico, un musicista, un fisico, due matematici e alcuni ricercatori con profonde conoscenze dei sistemi multimediali. Un nuovo dipartimento di controcultura che Negroponte considera a quell'epoca una sorta di Salon des Refusés, come avvenne a Parigi nel 1863, quando l'establishment artistico si rifiutò di accogliere gli Impressionisti nelle mostre ufficiali.

Il programma di Media Lab si basò sull'idea di annullare la dicotomia tra mondo tecnologico e cultura umanistica, tra scienza e arte, tra l'emisfero destro del cervello e quello sinistro.

Idee analoghe a quelle che alimentarono le mie utopie di ragazzo e che mi consentirono di orientare l'interesse e l'impegno in quella direzione lungo la quale avvertivo si potesse utilmente concretizzare un programma di convivenza delle due culture, quella umanistica, artistica e quella tecnologica, scientifica, al di fuori dagli sterili proclami, al di fuori dai filo-sofismi e dai filoso-fumi chiacchierati, al di fuori dai retorici e vieti nostalgismi fondati in genere su se stessi e dove in se stessi inevitabilmente affondano, perché capaci soltanto di alimentare la fabbrica del nulla o perché impegnati nel vano tentativo di frenare, fermare, addirittura arretrare, le lancette dell'orologio del tempo.

Quando a metà degli anni '70 la tecnologia consentì la produzione su larga scala dei primi microprocessori integrati all'interno di piastrine delle dimensioni inferiori a due centimetri quadrati, fu chiaro che il futuro sarebbe stato caratterizzato e segnato dall'onnipresenza del computer, di una megamacchina virtuale dove avrebbero potuto convergere tutte le attività dell'uomo per far prendere così corpo alla prospettiva dell'unità della conoscenza.

Alla fine degli anni '60 Ciryl Stanley Smith, storico della Scienza al Massachusetts Institute of Tecnology, aveva sostenuto: Dividere le azioni umane in arte, scienza e tecnica è fuorviante. Lo studio delle interrelazioni tra conoscenze intellettuali ed esperienze estetiche è non interessante ma necessario per indicare vie d'uscita alla nostra presente confusione sociale.

Intorno alla fine degli anni '80 composi un testo sintetico per descrivere potenzialità e virtù del computer, di questo crogiuolo e paradossale metamedium.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

COMPUTER

 

 

 

STRUMENTO VIRTUALE DI

SIMULAZIONE

ARTISTICA E SCIENTIFICA

PUNTO DI INCONTRO FRA

POESIA E LOGICA

DOVE PRODURRE

FINZIONI E IMITAZIONI

SIMBOLI E METAFORE

PER AUMENTARE L'IMMAGINAZIONE

E COSTRUIRE

MODELLI E IMMAGINI

DI UN MONDO

RICONOSCIBILE

 

METAMEDIUM PARADOSSALE

BIT - DIALOGICO

MODULATORE DEL CYBERSPAZIO

CROGIUOLO PER LA FUSIONE DI

CONOSCENZA ESTETICA

E

BELLEZZA CONOSCITIVA

 

MACCHINA LUDICA

MECCANO VIRTUALE

DIMORA DELLA FANTASIA

SPECCHIO METAFISICO

DOVE CONTEMPLARE LA VITA MENTALE

OLTRE LA FISICITA'

 

SPECCHIO DELL'INVISIBILE

STRUMENTO DI LUCE

DI TRASPARENZA E DI LEGGEREZZA

STRUMENTO PER UN NUOVO PHAOS

PER UNA NUOVA AURA

PER DARE ALL'INTELLETTUALE

CONTEMPORANEO

LA POSSIBILITA' DI CREARE MITI

PER IL SUO TEMPO

E DI CONTROLLARE CIO' CHE DEFINISCE

IL SENSO DELLA SUA VITA

Computer, quindi, strumento per un nuovo phaos; ma qui mi riferisco a quella nuova luce della coscienza che dovrebbe aumentare la visibilità dell'intero panorama intorno all'uomo, per evitare all'uomo di aver paura della propria ombra.

Un nuovo phaos per vivificare la partecipazione cosciente dell'uomo al processo creativo, unica ragione della sua esistenza; per aumentare la sua capacità di dare una forma simbolica all'esperienza e farne oggetto di riflessione al fine di rafforzare e ampliare le sue possibilità espressive.

Ma tra le varie definizioni che ho dato del computer c'è anche quella di macchina ludica e di strumento di simulazione perché sono convinto, e principalmente mi auguro, che questo marchingegno tuttofare possa servire a far gorgogliare la fantasia, l'immaginazione, la creatività attraverso il gioco, attraverso cioè il vero elemento formativo della cultura umana, come sostiene Huizinga nel suo Homo ludens, e attraverso quel regno della finzione al quale, d'altra parte, è da sempre appartenuta la più seria attività dell'uomo.



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